Scrivere di cultura: il laboratorio di giornalismo di Michele Govoni
22 Aprile 2022
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Dal 26 aprile al 28 giugno, nell’ambito delle attività formative del Festival Bonsai organizzato dal teatro Ferrara Off, il giornalista ed esperto di comunicazione Michele Govoni, tiene il laboratorio di giornalismo culturale “L’arte di ragionare in pubblico”, un’occasione per apprendere e mettere in pratica i rudimenti di un mestiere che sembra sempre più un atto di resistenza romantica ai tempi frenetici dettati dalle nuove forme di comunicazione.
A Ferrara Off, Govoni terrà dieci lezioni che affronteranno vari aspetti: dal giornalismo tradizionale al blogging, dai social al podcasting.
Si scoprirà come individuare le fonti, condurre un’intervista, recensire un libro e come scrivere per un pubblico targettizzato.
Ogni lezione sarà caratterizzata da una prima parte teorica e da una seconda realizzata in forma laboratoriale, arricchita di esempi pratici, esercitazioni e condivisioni con gli altri allievi, che si metteranno immediatamente alla prova seguendo il Festival Bonsai e raccontandone ogni aspetto.
Per informazioni e prenotazioni si può consultare il sito https://www.ferraraoff.it o scrivere a info@ferraraoff.it.
Questa volta invece di fare le domande, è però Govoni ad essere intervistato.
Michele, iniziamo dal titolo che hai dato al tuo corso, come mai lo hai scelto?
Inizierei dicendo che il titolo non è tutta “farina del mio sacco” e inizialmente avevo pensato a qualcosa di più didascalico, semplice e più facilmente individuabile. Credo poi abbia preso piede una strada diversa, tanto che il titolo nasce da una mescolanza tra il sottotitolo di un noto testo di Luca Serianni “Leggere, scrivere, argomentare. Prove ragionate di scrittura” e il tratto pubblico della retorica, cioè quella del parlare in pubblico. In fin dei conti, io penso, scrivere di cultura (nel senso più ampio del termine) altro non è che una forma di ragionamento resa pubblica dallo strumento attraverso il quale la diffondiamo. Non si può, infatti, scrivere di cultura senza prima far aderire le proprie vedute ad una o più forme delle idee stesse e, quindi, a dei ragionamenti.
In un momento storico in cui il flusso dell’informazione giornalistica è sempre più rapido perché la stampa insegue l’on line, che insegue i social, che inseguono sé stessi, c’è ancora spazio per il “ragionamento”, l’approfondimento, che ha per sua natura un tempo più lento?
Non ci sono dubbi: internet e i social hanno reso tutto più veloce, più mordi e fuggi, più concentrato sulle immagini che sui contenuti. A questo lato più effimero dell’informazione in rete, però, dove ogni cosa appena pubblicata sembra già “vecchia” perché soppiantata da una nuova, si accompagnano nuove tendenze. La rete e più nello specifico i social sono sempre più alimentati da persone che si soffermano a raccontare tutte le varie sfaccettature del mondo della cultura. Spesso lo fanno in maniera non “convenzionale”, utilizzando un linguaggio nuovo, spesso mutuato dal gergo giovanile. Ma chi può dire che ciò sia sbagliato? Io credo che, da qualunque prospettiva la si guardi, l’importante è che la cultura (o sarebbe forse meglio dire le culture) vada trasmessa e portata all’attenzione di più persone possibili. I social e la rete, in questo, non possono essere che di grande aiuto.
Cosa ti appassiona del giornalismo culturale? Come mai hai scelto di farne il lavoro della tua vita?
Prima di tutto vorrei chiarire un aspetto. Non mi occupo soltanto di giornalismo culturale: sono prima di tutto un insegnante nella scuola secondaria che, da oltre vent’anni scrive articoli di giornalismo culturale. Mi considero un giornalista, certo. Ma, da insegnante, mi considero anche un comunicatore di cultura. Credo che gli studi in Lettere, accanto ad una mia predisposizione personale, una sorta di sensibilità per le arti e la conoscenza, abbiano costituito una “miscela letale”. Scherzi a parte, credo sia la curiosità quella che anima entrambi i miei lavori. Li accomuna la voglia di trasmettere ciò che quella curiosità mi porta a scoprire, conoscere, imparare, nella speranza di accendere la voglia di approfondire anche in uno solo dei miei lettori o studenti.
C’è ancora spazio per i giornalisti culturali nelle redazioni? È possibile vivere di questo? Servono altre forme di divulgazione di questo tipo di comunicazione?
Sono domande cui non è semplice dare una risposta in poche righe, soprattutto da parte di chi in una redazione non ha mai trovato spazio per lavorare in maniera stabile e certa. Credo che, dati i tempi non certo felici nemmeno per l’editoria italiana, sia sempre meno lo spazio nelle redazioni non solo per i giornalisti culturali, ma per i giornalisti tout court. Viviamo un tempo fatto di numeri e denaro. Sicuramente questo non giova alla possibilità di garantire un lavoro ai tanti che aspirano a diventare giornalisti. Credo che, nel giornalismo in generale e ancor di più nel giornalismo culturale, la soluzione stia nel farsi “imprenditori di se stessi” proponendo i propri articoli al maggior numero di testate possibili (non solo cartacee) e allo stesso tempo cercare di sfruttare al massimo gli strumenti di condivisione che la rete mette a disposizione. Esistono tanti e differenti modi di fare giornalismo e divulgazione culturale, nessuno di essi più redditizio o migliore dell’altro. Il tutto sta nel trovare quello che più ci somiglia, guidarlo e lasciarci guidare, magari curiosando anche ciò che si fa negli altri Paesi.
Che caratteristiche deve avere chi si approccia a questo mestiere?
Non esiste una “ricetta” del perfetto giornalista culturale. Io credo però che esistano alcuni tratti imprescindibili, senza i quali un giornalista culturale non abbia motivo di essere chiamato giornalista o divulgatore culturale. Tra di essi nominerei un’ottima capacità di sintesi, la “fame” di conoscenza che non deve chiudersi di fronte a nessuna spinta o proposta culturale, delle buone basi sugli argomenti che si ritiene di dover trattare, naturalmente un’ottima capacità di scrittura e, ultimo ma non ultimo, una buona dose di umiltà.
Quali strumenti e nozioni trasmetterai durante gli incontri con i partecipanti al corso? Su cosa ti concentrerai in particolare?
Ho impostato il laboratorio in modo da dare molto spazio alla produzione scritta e meno alla teoria. “Imparare facendo” è infatti uno dei miei motti. Affiancherò le nozioni teoriche alla “fornitura” di strumenti pratici con i quali i partecipanti tenteranno un approccio ma che potranno anche modificare a proprio vantaggio e come meglio credono. Il mio sarà un insegnamento/supporto che aiuterà i partecipanti a scoprire ciò che sta dietro il lavoro del giornalismo culturale. Ci concentreremo sulla recensione (sia essa di uno spettacolo, di un libro, di un concerto o di una mostra), sulla capacità di saper argomentare le proprie opinioni, sull’utilizzo dei social e della rete per diffondere i propri apporti e contributi al mondo della cultura. Nel corso del laboratorio ci sperimenteremo con un blog culturale, una pagina Instagram ed un podcast, tutti legati all’esperienza che svolgeremo a Ferrara Off agli eventi che, nel frattempo, si svolgeranno in teatro, primo fra tutti il Festival Bonsai.