Prove di Zebio Còtal
28 Giugno 2016
Torna all'elenco degli articoliIl campo di Zebio Còtal distava dalla casa un duecento metri circa: era un lembo tondeggiante di terreno incastrato fra i calanchi, che scendeva fino al fiume; così ripido che non si poteva ararlo coi buoi, ma bisognava dissodarlo a colpì di zappa. La terra era poca e le piogge ne portavano sempre via, nonostante che il contadino dalla parte della brughiera avesse sbarrato il margine con un muro a secco di sassi. Le rocce in molti punti affioravano come le ossa sotto la pelle dei vecchi. Zebio lo seminava per tre quarti a grano e l’altro quarto lo coltivava a patate. Il grano ci veniva su a stento, disuguale; la pioggia lo spiantava, il vento lo piegava e lo torceva in tutti i sensi, il sole lo strinava, senza lasciarlo maturare. Anche le patate allignavano alla meglio. Quella terraccia rossa, che quando pioveva diventava fango attaccaticcio e che quando si seccava diventava cemento, non permetteva alla pianta di radicare prima e di crescere poi. Il campo aveva un solo albero in cresta dove il terreno era più arido; un vecchio faggio contorto e rosicchiato dal vento, con tre rami in croce, su cui le foglie si contavano.